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Chi sono le “parenti di San Gennaro” e perché sono fondamentali per il miracolo

Un gruppo di simpatiche vecchiette 'nascondono' un significato importante per la sacralità della celebrazione

Il rapporto tra San Gennaro ed i napoletani è per tradizione confidenziale e diretto. Ci si rivolge al Santo protettore della città come ad un padre al quale si vuol bene, con il quale ci si arrabbia, ci si confida, si scherza, a volte si disubbidisce, altre si chiede scusa e di cui si conoscono pregi e difetti.

Tutto a Napoli è una magnifica contraddizione, un’eterna oscillazione tra sacro e profano, tra riti pagani e dottrina cristiana, tra lecito ed illecito, tra devozione ed irriverenza.

Una delle più chiare manifestazioni di questo file rouge, che collega sacro e profano, è rappresentato dalle protagoniste indiscusse del miracolo della liquefazione del sangue: “le parenti di San Gennaro“.

Chi sono le Parenti di San Gennaro

Antica miniatura raffigurante il “Miracolo di San Gennaro”

Come molti sapranno, la più antica attestazione a noi pervenuta del “miracolo di San Gennaro” risale al lontano 17 agosto del 1389.

Tale evento, nel corso del tempo, ha poi subito una vera e propria secolarizzazione, scandendo in tre appuntamenti annuali l’invocazione al Santo da parte dei fedeli (con cerimonie alle quali presiedono le più alte cariche religiose ed istituzionali della Campania):

  • La vigilia della prima domenica di maggio.
  • Il 19 settembre: anniversario del martirio e decapitazione di San Gennaro avvenuta nel 305
  • Il 18 dicembre: anniversario della violenta eruzione del Vesuvio del 1631. Stando alla tradizione popolare, in questa occasione, i napoletani disperati invocarono la protezione del Santo esponendo le sue reliquie e pregando di salvarli. Così, la lava miracolosamente si fermò proprio ai piedi della statua di San Gennaro, eretta in prossimità del porto, risparmiando la città da una distruzione certa.

Le parenti di San Gennaro: la storia

Nei giorni del miracolo siedono nel Duomo, in prima fila, le cosiddette parenti di San Gennaro”, donne di origine popolare, provenienti per lo più dai quartieri del ‘Molo Piccolo’.

Le “parenti“, possono ‘parlare al busto di San Gennaro‘, rivolgendogli implorazioni, esortazioni a non tardare nel fare il miracolo, frasi tenere, canti e finanche qualche epiteto colorito ed irriverente che Matilde Serao definì “vezzeggiativo scherzoso“.

Se la liquefazione tarda a verificarsi, le donne – prevalentemente anziane – procedono con dei rimproveri rivolti al Santo ritardatario. Secondo alcuni, sarebbero le loro parole ad innescare quindi il miracolo e merito loro se il Santo continua a onorare la città e a proteggerla.

Una volta avvenuta la liquefazione, le”parenti“, oltre a festeggiare il miracolo, procedono pregando il Santo con antiche nenie in napoletano.

La grande attrice teatrale Tina Femiano seppe raccontare molto bene il fenomeno delle “parenti di San Gennaro” in un documentario realizzato per il Comune di Napoli nel 2012:

Sono nata e cresciuta nelle adiacenze del Duomo di Napoli, precisamente in via Carbonara. Quindi ho vissuto molto l’atmosfera del miracolo di San Gennaro e delle sue leggende. La prima volta che mia madre mi portò in chiesa per assistere al miracolo fu un momento emozionate – afferma l’attrice napoletana – Il Duomo era gremito di turisti, di suore e delle famose donne dette ‘le parenti di San Gennaro’. Io mi stupii molto del fatto che il Santo avesse tante parenti, tutte femmine e tutte anziane. Non vi dico poi lo stupore e l’indignazione mia e di tutte quelle persone che assistevano come me per la prima volta al miracolo, quando sentimmo quelle donne che si rivolgevano al Santo con delle parole offensive, urlandogli con quanta voce avessero in gola, in un modo che mai mi sarei immaginata adatta ad un Santo“.

Le parenti di San Gennaro: le origini della leggenda

In realtà il culto delle “parenti di San Gennaro risale a tempi antichissimi. Sin dalla prima liquefazione alcune donne si dichiararono parenti di San Gennaro (o meglio sue discendenti), dando inzio al peculiare rituale associato al miracolo partenopeo.

Una parentela che seppur priva di un albero genealogico, viene trasmessa da secoli. La ricostruzione storica è ovviamente compromessa dal fragile confine tra leggenda e verità ma pare che, con il tempo, la devozione ed il ‘vincolo spirituale’ delle fedeli al Santo, si fosse materializzato così tanto da assurgere al grado di parentela.

Per alcuni storici, pare che l’unico vincolo di sangue fosse quello con le donne dal cognome “Januario“. Una leggenda del Cinquecento, invece, sostiene che le “parenti di San Gennaro” siano le discendenti di Eusebia, la nutrice del Santo, originaria di Pozzuoli, la quale raccolse in due ampolle il sangue del martire, immediatamente dopo la sua decapitazione, portandole a Napoli per farle custodendole in luogo sacro.

Qualunque sia la verità posta alla base di questa antica usanza, le “parenti di San Gennaro“, formano tutt’ora una microsocietà al femminile che ricorda gli antichi culti pagani di cui le donne campane sono state antesignane.

Difatti, in tempi remoti, esse venivano convocate in tutto l’Impero Romano per compiere riti di fecondità ed altri culti. Alcuni documenti sembrano addirittura attestare che a Roma si decretò che esse fossero le uniche sacerdotesse del Tempio di Cerere sull’Aventino.

In epoca cristiana molte di queste sacerdotesse campane entrarono a far parte di ordini monastici, portando con loro tutti i segreti iniziatici che mescolandosi alla religione e alle credenze, sono poi sfociati in superstizioni, malocchi e fatture di cui troviamo ancora oggi riscontro nei racconti popolari.

Tutt’ora, queste donne designate come le “parenti di San Gennaro“, si fanno portatrici di una memoria storica ed una tradizione fortissima per la Campania. La loro intercessione ai fini del compimento del miracolo, e dunque della ‘salvezza della città ‘ stessa, è comunemente ritenuta indispensabile.

Affinché i presagi si mostrino positivi, il sangue non solo deve liquefarsi ma deve essere “bbuono“, cioè deve liquefarsi in poco tempo, possibilmente prima delle dieci del mattino.

Se ciò non avviene, le “parenti di San Gennaro” incalzano la loro preghiera al Santo con esortazioni come “San Gennà scitet, facc o miracolo! Faccia gialla facci ‘a grazia!

Faccia gialla” o “Faccia ngialluta” è infatti l’epiteto col quale, queste devote, chiamano il Santo in relazione alla sua solarità ma anche al colore del busto di colore aureo esposto nel Duomo.

Una volta avvenuto il miracolo, le campane a festa del Duomo annunciano poi che il prodigio è stato compiuto e “o’ sang sé squagliat“.

Molto toccante è la processione che segue il “miracolo di San Gennaro“, uno degli eventi più emozionanti che si snoda per le strade della città antica.

Il fulcro del corteo parte dalla Cattedrale percorrendo via Duomo,  passando nel cuore del centro storico in via San Biagio dei Librai e via Benedetto Croce – il tutto fra petali gettati dai balconi, preghiere e ripetuti applausi al passaggio di reliquie del Santo. Dopo circa un’ora di cammino, la processione culmina alla Basilica di Santa Chiara.

Questo evento è inserito nel calendario di “Maggio dei monumenti“, il ricco programma di iniziative culturali promosse dal Comune di Napoli.

Del resto, il “miracolo di San Gennaro“, così come le sue ‘parenti‘, sono parte di una cultura endemica a Napoli, esempi viventi di una tradizione e di una storia che non può e non deve essere dimenticata dagli abitanti di questa città poiché è proprio dalla conoscenza e dalla conservazione delle nostre peculiarità regionali che saremo capaci di mantenere la nostra unicità ed identità territoriale, indispensabile in una realtà in cui vige una globalizzazione incalzante e prepotente atta a renderci tutti uguali e privi di coscienza storica.